Dalle Asana al circo e la speranza di invertire la tendenza

In un mondo estetico anche lo yoga si sta plasmando in quella direzione. Le Asana sono uno degli otto Anga, rami in cui si suddivide la disciplina dello Yoga, probabilmente il più importante. La grande camera che contiene i posizionamenti del corpo risulta essere il luogo dove noi controlliamo i nostri miglioramenti ed avanzamenti nella pratica. 

E’ necessario capire che, per quanto svolgano un ruolo importante nella disciplina, le Asana sono finalizzate al Samadhi, obiettivo che deve veicolare necessariamente tutta la nostra pratica.

Nell’occidente la sostanza sta lasciando il passo alla forma, il corpo non più visto come strumento ma come elemento di confronto estetico, sta diventando il mezzo attraverso il quale misurarci in un contesto dove l’estetica ed il gossip la fanno da padroni.

Instagram e gli altri social sono diventati un ricettacolo esibizionista anche nel mondo Yoga, dove l’unico elemento degno di nota è un bel corpo che si spinga in posizionamenti assurdi che hanno più a che vedere con il circo che con la più antica disciplina del mondo.

I più virtuosi, spingendosi più in là, accumunano le Asana al fitness tipico occidentale, ricercando in esse lo stesso approccio in cui sudore e stretching diventano preponderanti sul resto.

Le Asana sono il mezzo con cui impariamo ad osservare il nostro corpo, il mezzo con cui ci riappropriamo di un corpo lasciato in balia di movimenti indotti dalle nostre frenetiche giornate, lo strumento che utilizziamo per dargli vigore e ristabilirne una forma, il luogo dove andiamo intimamente a conoscerci corporalmente e dove creiamo una connessione tra la nostra mente ed i vari strati che lo compongono.

Asana è il più attento ed integrante studio che operiamo sullo strato grossolano del nostro essere.

Uno studio meticoloso, duro e attento.

Vi spiegherò come nel tempo dovrebbe, a mio parere, essere condotto.

Nel primo periodo il Sadhaka, lo studente, vedrà impegnate tutte le proprie energie per capire il posizionamento del corpo nello spazio prendendo ad esempio il posizionamento dell’istruttore, cercando di copiarlo senza estremizzare, allenando l’ascolto delle descrizioni di entrata, mantenimento e uscita dalla posizione.

L’opera di specializzazione nell’ascolto e la conseguente volontà di replica andrà a limare tutta quella serie di imprecisioni che lo studente normalmente produce nel posizionamento.

Il ruolo dell’istruttore in questo momento è di tutela e controllo degli errori grossolani in cui lo studente può incappare, preservandolo di fatto dalla possibilità di infortuni dovuti ad errori grossolani compiuti nella asana; per altro conscio e fiducioso che in un secondo momento, quando il corpo dello studente sarà pronto, potrà erogare le modalità per una sempre più corretta esecuzione attraverso maggiorati stimoli e sempre più precisi allineamenti.

In questo periodo viene richiesto al praticante di fare particolare attenzione alle parole che descrivono la posizione perché in esse è possibile trovare ed iniziare a padroneggiare, tutte le direzioni necessarie ad una corretta ed efficacie pratica.

Nel primo periodo tutti gli “errori” accumulati e mitigati dall’istruttore sono funzionali ad un ripristino del corpo in tutte le sue abilità di estensione e fortificazione; questo è il periodo in cui, ancor più dei seguenti, deve essere chiaro che non esiste un reale corretto posizionamento se non quello che tiene da conto stimoli e direzioni corrette che si predispongono ad un primo livello di osservazione del nostro corpo.

Le asana, per un Sadhaka motivato, sono un percorso di ricerca di immobilità del corpo che inizia con la nostra lezione di prova e finisce con l’ultimo respiro che esaliamo, in tutto questo tempo non si farà altro, con una pratica costante, che assumere naturalmente una posizione dato il nuovo stimolo dell’insegnante. Le asana sono un atto di pacificazione con il nostro corpo e con il nostro senso di competizione e forzatura, ci insegnano la pazienza.

L’introduzione dei concetti morali ed etici dello Yama ci iniziano all’atteggiamento qualitativo con cui dovremmo operare, un processo che nel proseguo risulterà sempre più determinante.

Arrivati nella seconda era della nostra pratica è importante la specializzazione, il corpo ormai abile al mantenimento, la mente abile e predisposta all’ascolto, sono sottoponibili ad una serie quanto mai infinita di particolari da mettere in campo.

E’ il momento più duro per il praticante che vede inondato il sistema corpo-mente di una serie infinita di stimoli che aumentano il suo livello di pratica costringendolo a compiere il primo processo di integrazione effettiva operato sul corpo.

Nella pratica verranno introdotte settorialmente molte più direzioni da seguire, ci saranno molte più sensazioni da incamerare e da ricordare e molta più fatica da imparare a gestire.

Questo è il momento in cui, nella ricerca degli allineamenti più confacenti alla persona, è utile introdurre un valido ascolto della respirazione condotto sia come disciplina a sé stante che come meditazione, in maniera tale da poter percepire durante i posizionamenti un discostamento dalla sensazione di fatica che sarebbe poco di aiuto al mantenimento della Asana che ci consente questa minuziosa ricerca.

Superato questo intenso scaglione (ci potrebbero volere anni a seconda della intensità con cui il praticante si motiva agli obiettivi) si aprono le porte dell’ultimo step puramente fisico.

Grazie ad un corpo forte, fluido ed estensibile e che sappia mantenere per un ragionevolmente medio – lungo tempo la posizione, si può cominciare a ragionare su aspetti importantissimi della pratica.

Il corpo deve diventare veicolo di ciò che detraiamo dai nostri appoggi con il suolo, deve diventare controllore dei percorsi che facciamo operare a ciò che prendiamo dal terreno, rivolgendoli dove più occorre e mantenendo corretti allineamenti, creare un sistema sempre efficiente di connessione tra i vari settori del nostro corpo e lo spazio che occupiamo nell’aere.

Il respiro qui è cominciato a studiare in maniera importante tramite le tecniche di pranayama.

Il passo successivo è la destrutturazione, il ritorno, la gentilezza.

Con un corpo forte e stabile, con i corretti allineamenti, con una capacità di creare percorsi densi ed articolati dove rivolgere le nostre intenzionalità, è finalmente arrivato il momento di far entrare in maniera prepotente il canone della gentilezza in noi.

Ci ritroveremo finalmente a poter operare tutta quelle serie di indirizzi che ci ha suggerito la camera degli Yama, dismettendo il conflitto interno, sapendo accettare su di noi una serie importante di stimoli e ricordando finalmente quale sia il vero scopo della camera asana: una meditazione in cui, lasciando il corpo totalmente immobile, ci si possa dimenticare del “vestito” che la nostra mente indossa dedicandole tutta l’attenzione e la motivazione nella ricerca del Samadhi.