L’importanza di avere una sola cosa di fronte

Abituati ai miliardi di stimoli che nel mondo occidentale riceviamo, alle troppe novità, non facciamo altro che ricercarne di nuovi, ne abbiamo fatto la nostra maniera di operare, ne detraiamo l’unica realtà emotiva che siamo ormai capaci di sostenere.

Lo Yoga vissuto in occidente va a sbattere proprio su questo sistema dove la ricerca di stimoli giornalieri la fa ormai da padrona.

Vogliamo una nuova posizione, una nuova sequenza, una nuova tecnica, il tutto con la speranza che ci porti ad assaporare uno scampolo di tranquillità e se il tutto mi fa apparire anche più bello non guasta, come se la bellezza fosse poi un dato oggettivo.

Lo Yoga come abbiamo più volte detto è una disciplina sistemica che ricerca la profondità dell’essere fino ad approcciare alla nostra vera natura, le tecniche sono prospettive di osservazione consegnate al ricercatore affinché la sua curiosità nella ricerca vada pian piano ad assottigliarsi percependo nuovi gradi di consapevolezza.

Questo è ciò che gli occidentali stentano a capire. Per fortuna lo Yoga è più caparbio della durezza che li contraddistingue ed è capace in molti casi di far breccia facendo loro capire quanto il segreto nell’avvertire benessere, risieda nella ripetizione.

Non una ripetizione qualsiasi, ma la ripetizione della stessa, identica e medesima cosa.

Cosa, ossia: posizione, sequenza e tecnica con la doppia rivoluzione sia nel mondo fenomenico fisico che all’interno dei nostri processi mentali.

Sono concetti semplici da comprendere, difficili da incamerare e farli propri e pragmatici.

Vi è già capitato nella vita che siate riusciti a diventare esperti in un qualcosa tramite la ripetizione e che abbiate imparato di conseguenza ad avvertirne piacevolezza nella ripetizione di quel determinato gesto.

Ora approcciandovi alla disciplina più antica del mondo in materia di coltivazione del benessere, dovreste semplicemente utilizzare nell’approccio gli stessi schemi mentali di causa effetto.

Eka gram: “un pensiero di fronte” indica il percorso da seguire per aumentare le proprie abilità in ogni camera dello Yoga.

La affannosa ricerca della posizione strafiga e fotografabile che viene coperta, nei più virtuosi praticanti, per lo più dalla “voglia di dare un nuovo stimolo al corpo” è sintomo di una emotività che non ha ancora trovato un assetto mentale capace di placare il suo incipit.

Una asana per tutta la vita ed il corpo sarà mobile, forte ed estensibile come se ne aveste praticate mille, questo è il senso della ricerca.

Una, delle parole dello Yama, all’occorrenza, dove valutiamo di esserne più manchevoli, prediligendo Ahimsa, la non violenza in quanto il resto ne è sfumatura.

Un protocollo di rilassamento unico, o costruito per essere montato un giorno come unico flusso.

Ma soprattutto, con molta dedizione ad un unico protocollo di meditazione!

Negli ultimi cinquanta anni o poco più il mondo occidentale arrembante e tecnologico ha cominciato ad auto-instillarsi il dubbio che possiamo avere tutti i mezzi del mondo a disposizione ma se non abbiamo una mente riposata e pronta è difficile che possiamo beneficiare del loro pieno potenziale.

E da questo tarlo continuiamo ad andare alla ricerca di un assetto meditativo consono alla nostra personalità continuando a lasciarci trasportare in quella che erroneamente viene chiamata “lezione di yoga” attraverso prati verdi o verso la luce.

Il messaggio chiaro, duro e forte che vorrei lanciarvi oggi è: “può essere pure, che alla fine del vostro studio incontrerete una luce; o che vi sentiate il serpente o il drago che è in voi, risvegliarsi; oppure che voi abbiate la sensazione di essere realmente sdraiati su un prato, ma, ma, ma, queste sono conseguenzeeee.”

Conseguenze di un processo metodico ed ordinato che vede il praticante modulare il suo essere per porgli davanti, sempre ed incessantemente: un solo pensiero di fronte!

Questa è la base, è la struttura, sono i tubi di quel sistema di prosciugamento della nostra mente a cui un giorno richiederemo in un solo istante di ritirare tutto il flusso.

Se non ci si è strutturati così attraverso lo studio di sé stessi, dei componenti fisici e degli assetti mentali, quel famoso controllo della mente e il derivante senso di piacevolezza saranno solo sensazioni effimere che al primo clacson vi faranno ritornare al proprio stato preordinato.

Il vero piacere si trova oltre questo primo studio, che ci permette intanto la prima analisi e comprensione della nostra mente.

Un giorno non troppo lontano, a seconda dell’assiduità e dell’intensità che il praticante avrà riversato nella sua disciplina, si apriranno le porte che mostrano la strada per tornare alla sorgente.

Quelle porte parlano di elementi che si trovano nel mezzo: nella pausa tra inspirazione ed espirazione, nel momento tra veglia e sonno; vanno ad esplorare quei luoghi che hanno un carattere infinitesimale come il puntino che si trova sullo yantra Aum.

Sono quei luoghi in cui anche la sofferenza diventa veicolo calmo per ritornare al nostro essere, sono quegli stati della mente in cui si è dismesso totalmente il conflitto e in cui siamo in piena consapevolezza della caducità del mondo che ci circonda, sapendone pesare ogni aspetto e sapendo distaccarci da ogni cosa che riteniamo inutile e che non attenga al nostro benessere.

Finalmente ed in maniera totalmente libera capaci di vivere quella cosa che abbiamo imparato a mettere di fronte a noi, come l’esperienza più totalizzante e solida della nostra vita.

Ci saremo liberati delle catene condizionanti di una società che induce benessere solo tramite beni materiali ed avremmo ricondotto la nostra mente sotto il pieno controllo delle azioni che ci induce nella nostra quotidianità.

Avremo acquisito una saggezza che ci farà ogni giorno discernere quale sia il percorso migliore e più attinente alla nostra vera natura.

E saremo capaci di esprimere tutto il nostro potenziale nel mondo con il forte proposito di giocare un ruolo importante nell’alleviarne le sofferenze.