Meditare, dammi la mano ti insegnerò come
Sulla meditazione ormai se ne sentono a milioni, vengono create miliardi e miliardi di meditazioni ogni giorno, un po’ come le diete. Il concetto ci piace, ci solletica l’intelletto e ci fa sperare che ci sia un modo rapido per ristorare le energie perse.
C’è quella del sole, quella della luna, c’è un prato verde e rigoglioso e la risacca del mare, c’è quella per il rapido risveglio dell’energia in questo o in quel chakra e c’è anche quella che dà una scossa al serpente che attraversa la colonna facendovi vibrare dall’alluce sino alla testa.
Direi proprio che ce n’è per tutti i gusti e le stagioni.
Ma la meditazione cosa è?
Un protocollo, una serie di istruzioni organizzate affinché sia possibile percepirsi con varie scale di profondità.
La meditazione, come d’altronde tutto lo Yoga, non è una ricerca di camere attinenti allo stesso piano bensì una esplorazione continua e meticolosa della nostra caverna.
Per un neofita non è possibile porsi in meditazione se non abbia fatto prima pace con il corpo e con le fluttuazioni da esso prodotte all’interno della nostra mente.
Non c’è meditazione se non nella completa immobilità.
E’ l’atto finale di un percorso che vede il Sadhaka che si è adoperato nei precedenti studi restituirsi la più bella delle sensazioni.
Meditare significa connettersi alla propria intimità più profonda.
Vi spiegherò come discendere gradino per gradino sulla scala a chiocciola che porta al centro di voi stessi, dove il voi stessi coincide con il tutto.
Con questo articolo, tendendovi la mano, andremo a spiegare la struttura portante, l’impalcatura necessaria a compiere questo stupendo viaggio.
Armiamoci di una sveglia, scegliamo una suoneria che non sia come quando la mamma tirava su le serrande per andare a scuola, impostiamola cu un tempo di dieci minuti all’inizio.
Per 10 giorni il nostro compito a casa sarà quello di disciplinarci ad aumentare di due minuti al giorno il nostro tempo fino ad arrivare ai trenta minuti.
Vi rassicuro già da ora che una volta padroneggiato anche una piccola parte del percorso allora sarà giusto parlare di minutaggi che corrono sul filo di un istante e che possano ricaricare in un batter d’occhio parte delle nostre energie ma fino a quel tempo, come la più severa delle mamme “sedere sulla sedia….e meditare!”
Si parte con il posizionamento, curato, metodico e con uno sguardo anticipatore su tutte le distrazioni che il corpo potrà produrre. Ci si coccola sedendoci in una posizione comoda o che possa essere tale per la maggior parte del tempo, si dona tutta la nostra attenzione affinché ogni nostra estremità possa non creare moti involontari.
Una volta coltivata la nostra posizione, si chiudono gli occhi, allenandoci a farlo lentamente; è importante, affinché la nostra porta sensoriale più recettiva mandi piano piano un segnale di rilassamento al nostro cervello andando a moderare la serie di impulsi con i quali avremmo a che fare.
Predisponiamo ora la mente ricordandole che stiamo per attuare il nostro protocollo, questo faciliterà la nostra discesa perché avremmo già rinfrescato la strada che andremo fra poco a percorrere.
Ora, un momento fondamentale; stiamo per operare l’esperienza più solitaria che un uomo possa compiere, c’è il rischio di sentirsi soli, c’è il rischio di spaventarsi; è proprio arrivato il momento di attuare una pratica che a noi occidentali un po’ ci disturba se non si è comunque iniziati ad una religione: ringraziare.
Mantenendosi laica, seppur ricercando una elevata spiritualità, la meditazione concettualizza l’idea di supporto e connessione con una coscienza universale tramite il ringraziamento.
Non è una preghiera ma un intimo momento in cui si ricorda una qualunque figura che abbia giocato un ruolo in termini di crescita spirituale affinché ci supporti nel nostro percorso.
È il recupero della personale sicurezza che quello che stiamo per compiere è stato replicato e studiato da molti uomini che come noi si sono incuriositi di sé stessi.
Iniziamo ad ascoltare la nostra zona ventrale, il nostro ventre.
Un ascolto che è l’equivalente di un occhio di bue puntato in una determinata zona; ascoltiamo il respiro farsi strada espandendo la regione ad ogni inspirazione, ritraendola ad ogni espirazione, lasciamo che il respiro diventi calmo e silenzioso.
Fermi immobili fino a che l’ascolto, la percezione corporea lasci spazio alla sola osservazione.
Ancora; fermi, a godere di quell’ambiente silenziosamente ritmato.
Cominciate ad individuare ogni singola espirazione, il vostro faro “occhio di bue” diventa un evidenziatore che sottolinea da ogni suo incipit, ogni intera espirazione.
Quando siete pronti connettete quella espirazione dal ventre, nel suo inizio di ritrazione, verso le vostre narici, la seguente inspirazione dalle narici al ventre; ascoltate, datevi tutto il tempo necessario ad osservare questo nuovo ciclico tragitto.
Apprezzatene le sensazioni nelle narici, nelle mucose delle narici, riscaldate dall’espirazione, rinfrescate dall’inspirazione.
Seguite il movimento che il respiro produce in tutto il vostro corpo, dal ventre alle narici passando da tutto il busto e ritornando.
Aspettate placidi che il nuovo luogo vi sia familiare e poi, solo poi, quando sarà naturale, ponetevi in semplice osservazione per tutto il tempo fin quando la sveglia non detti il suo tempo.
Quando la sveglia avrà suonato i propri rintocchi, aspettate.
Non c’è mai fretta nell’intorno di due minuti.
Ritornate sul corpo, sul luogo dove è seduto, apprezzatelo percependolo nello spazio.
Preparate la mente al risveglio, ricordandole che state per aprire gli occhi e poi, solo poi apriteli; lentamente.
Ed ora sbrigatevi che avete da fare!!!!
Fatemi solo un’ultima cortesia, fra mezzora (a meno di grandi turbolenze intercorse) date una controllatina all’efficienza della vostra mente.
Fra una settimana, guardatevi indietro e vedete se alle solite rotture di scatole avete reagito in quella che pensavate foste la vostra maniera.
Attendo notizie!