Ringraziare, una grande opportunità

Più si va a fondo nella disciplina e più la parte che da maggiori soddisfazioni, in termini di avvertito benessere, è la parte teorica perché regala constanti e più colorite sfumature alla stessa pratica.

Vi dico già da subito che la parte fisica che riguarda lo studio delle Asana (posizioni) non la abbandoneremo mai quindi sino a che non avremo il pieno controllo della confortevolezza e stabilità, tocca faticare ed anche allora toccherà tornarci su.

Ogni volta che avrete capito un qualcosa di più su questa complessa disciplina la andrete a misurare proprio attraverso le posizioni.

La “camera” che prende il nome di Asana è l’ente controllore dei nostri miglioramenti, quello che ci permette nel suo dinamismo e nella sua immobilità di entrare all’interno di noi stessi e misurare quanto le parole dello yoga abbiamo fatto breccia in noi.

Una di quelle parole è ringraziare. Ma chi? Cosa? Ma soprattutto….Quando e perché?

Diciamo che nello yoga due sono i tipi di ringraziamenti augurabili e distribuibili all’occorrenza.

Il primo e più rilassato è verso sé stessi a fine pratica, sintomo di un apprezzamento verso lo strumento che ci ha permesso di sopportare ed accettare le fatiche: il corpo.

Il secondo e più potente parla di come potermi meglio predisporre ad ogni atto che sto per compiere. Questo è il momento in cui, ricercando un silenzio profondo all’interno di noi stessi, ci confortiamo dell’aiuto e del supporto dell’intera disciplina e di chi ha speso l’intera vita per donare ad essa un apporto significativo.

Questo è il vero momento di connessione tra il discepolo ed il maestro, tra il silenzio e la parola che stiamo per pronunciare, tra il vuoto che abbiamo creato in noi e il flusso di informazioni che lo attraverserà inondandolo.

Come qualsiasi altra cosa che parla attraverso la disciplina dello yoga, non dice nulla di realmente nuovo sulla vera natura umana ma fornisce una diversa angolazione all’osservatore che si ritrova nella condizione di ricordare meglio qualcosa di sé che aveva nascosto.

Ogni qualvolta che pensiamo in maniera intensa e dedicata a qualcosa la stiamo rendendo reale.

Immaginate una persona; è difficile che possiate vederla solo come immagine. Di sicuro sarà correlata ad una serie infinita di altri pensieri che le fanno avere quasi il sintomo di una personalità.

La cosa eccezionale di cui siamo poi capaci quando riusciamo ad avere un momento di reale assorbimento è che saremmo anche in grado di recuperare i ragionamenti che quella persona sarebbe stata in grado di fare in presenza.

Mi pare facile poter dire che ogni volta che noi pensiamo a qualcosa e soprattutto a qualcuno creiamo una connessione.

Ora, se mi trovassi nel silenzio più totale all’interno di me stesso, a dedicare un ringraziamento ai miei maestri, tanto grande quanto la mia conoscenza di loro, avrò stabilito una connessione.

Immaginiamo che per un attimo fossi capace di ringraziare l’intera disciplina con tutti coloro che hanno giocato un ruolo al suo interno, completandola e perfezionandola, con chi o cosa avrei stabilito una connessione?

Con una coscienza universale che nello yoga prende il nome di guru parimpara.

Prima di farci film esoterici, rievocando alla mente le sette più turbolente della nostra storia, vorrei riportare il termine Guru al suo significato originale:  “trasportatore da una zona di ombra ad una zona di luce”. Rappresenta quindi la persona o l’idea che vi traghetta da uno stato di ignoranza ad uno stato di consapevolezza.

Eliminata la paura della parolaccia guru possiamo tranquillamente continuare a spiegare in che maniera il nostro ringraziamento potente abbia un risvolto eccezionale nella nostra pratica.

Connettersi a qualcosa è poter replicare quella cosa, potrebbe risultare addirittura essere quella stessa cosa; questo è un concetto chiaro per chi mastica matematica dove, detto in maniera approssimativa, se in due ambienti vigono le stesse regole sono di fatto lo stesso ambiente.

Per ringraziare un concetto o un lineaggio oppure un maestro in particolare andremo a compiere lo stesso gesto allenante della mente che lo stesso maestro o la stessa disciplina hanno avuto come finalità.

In quella ricerca di un solo pensiero davanti al nostro sguardo mentale, occhi chiusissimi in maniera gentile, e nella completa immobilità andremo proprio a prendere le forme e gli scopi di chi ci ha preceduto, accedendo di fatto a tutti i gradi, anche parziali, di conoscenza alla quale essi stessi o la disciplina sono arrivati.

Questo è il reale motivo per cui si dice di solito che il miglior maestro siamo noi stessi.

Capite quindi bene che allenarci a ringraziare, (a questo punto cosa e chi decadono di importanza) in maniera sempre più intensa e posti in condizione di Ekagram (un pensiero di fronte), sia la più grande opportunità di avanzamento nella pratica di un Sadhaka.

Se non avessimo capito un gran che di tutto il film soprastante possiamo operare in due maniere:

– torniamo all’inizio dell’articolo e cerchiamo di capire cosa questo strano soggetto yogico che vi sta riempiendo di parole, vi voleva comunicare

– provare a praticare il ringraziamento fin quando queste parole non vi torneranno alla mente in maniera chiara.

In ogni caso sappiate che la maggior parte del reale apprendimento derivante dallo yoga lo otterrete in piena solitudine. Ringraziare significa poter avere accesso a tutto il supporto della disciplina e dei maestri.

Quindi alle volte è meglio sempre ritornare ad avere la qualità della fantasia di un bambino ed avere con sé,  quando si è soli, un amico immaginario.

Non è detto che non sia proprio quello che nella vita possa farvi il regalo più prezioso: un ambiente sereno.

 

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