Turiya la strada del non giudizio
Abbiamo preso una malsana abitudine: pensiamo sia importante, per affermare noi stessi, dire la nostra quando la maggioranza delle volte sarebbe preferibile un’azione al semplice parlare. Circondati ed avviluppati dalla sensazione di non essere attori della vita reale se non ci impossessiamo del palcoscenico utilizzando il mezzo del giudizio quale arma di accaparramento di effimeri consensi.
Condizionati ad aumentare la nostra capacità di giudizio anziché i nostri valori.
Bene e male, giusto e sbagliato, bianco e nero sono solo piccoli esempi con cui tentiamo di governare un sistema incentrato su una visione che quando ci dice bene è duale, quando ci facciamo prendere dalla china dello straparlare è pronta a frammentarci in milioni di parti.
Perché è così che agiscono le parole, dividono all’esterno e ci dividono internamente.
Le parole sono scatole dove ogni persona inserisce la propria emotività e, molte volte, le proprie frustrazioni e noi le stiamo coltivando a bordate di “A cosa stai pensando?”
C’era una volta un metodo, quello platonico, dove le persone parlavano ragionando su quale poteva essere la novità da apportare nella discussione; dove l’ascolto era tanto importante quanto le parole pronunciate e dove l’esperienza era sempre vista come valore aggiunto.
Stiamo coltivando una serie di parole e di giudizi e ce li stanno facendo rigettare come modus operandi corretto nel mondo, intrappolati in una rete di miliardi di informazioni che ci fanno correre in una grande ruota da criceti senza neanche accorgercene.
Parliamo sul detto, ragioniamo chiusi in un recinto preconfezionato ed abbiamo imparato ad accontentarci di quel briciolo di comodità di un terreno creato apposta per noi e di quella palizzata colorata che si staglia all’orizzonte.
Ma una grande speranza c’è!!!! Per scardinare ciò e tornare ad essere liberi la soluzione risiede nel mettere in campo azioni che invertano la tendenza.
Molte volte per produrre una azione migliore dovremmo non dare retta all’istinto.
Nella mia vita per fare ciò mi è ancora utile pensare che una verità, per essere tale, deve contenere in sé stessa una affermazione e contemporaneamente la sua negazione.
Ogni qual volta che si parla, introdurre un protocollo del genere, fa si che l’azione derivante sia qualitativamente superiore a quella che ci sarebbe sovvenuta nell’immediato.
In questo risiede la prima pratica del non giudizio, creare in sé un protocollo in cui la risposta che vorremmo dare estemporaneamente viene mediata da un controllo gestionale operato sulla veridicità in maniera preordinata.
Ogni volta che spiego la motivazione ed il conseguente significato che mi ha portato a scegliere il nome della mia accademia come Turiya – assenza di giudizio- la domanda che mi viene fatta è la seguente: “Ho capito tutto ma questo protocollo non ha il senso della spersonalizzazione? Diventerò un inetto senza capacità di giudizio, preda del lento divenire un completo ebete?”
Siamo talmente tanto identificati nel nostro pensiero che quando riusciamo a connetterlo con il nostro parlato, se non lo possiamo esprimere subito, abbiamo paura perda di efficacia nella volontà di portare all’attenzione di tutti ciò che noi siamo, restituendo la maggior parte delle volte una visione distorta per eccesso di cosa volevamo realmente comunicare di noi.
Vi rassicuro sul fatto che noi portiamo sempre esternamente ciò che siamo, anche e soprattutto senza parlare; vi rassicuro che il vostro essere è già percepibile da chiunque appena vi palesate ma vi dico anche che la qualità più grande con cui potete uscire parla attraverso il non giudizio fino a che non si rivoluzioni in assoluto silenzio.
Il corpo si percepisce in fase unitaria tramite lo studio delle Asana che integrano il nostro corpo con una fortissima colla che unisce ogni singolo componente del nostro aspetto più grossolano; lo sganciarci da una visione frammentata o duale tramite il non giudizio significa altresì ricomporre l’interno di noi stessi, ricondurre la mente ad una struttura più snella che, se attraversata da pensieri con un alto approccio valoriale, conducono ad azioni migliorative importanti per tutta la società.
Il non giudizio predispone ad un ascolto più attivo: ogni qual volta preparo la mia mente alla negazione del pensiero emergente creo uno spazio in cui è più facile sentire l’altro in maniera completa; la mente è interessata perché interessante e nuovo quello che ascoltiamo e che risulta più appagante per chi è ascoltato.
Penso che il non giudizio sia una freccia importante nella faretra di un praticante di Yoga e penso che debba essere conosciuto ed imparato a vivere fin dai primi attimi del nostro avvicinamento alla disciplina.
Il non giudizio ci aiuta a snellire e ripulire gli stessi canali che andremo a seguire nella più amplia ricerca dell’immobilità e del silenzio, li rende piacevoli e ci rende maggiormente piacevoli in ogni nostro contatto con l’esterno; ci rende meno arrembanti nel definire una nostra verità e meno aggressivi nella nostra comunicazione, pacificandoci dall’interno.
Il non giudizio sul nostro corpo, che stiamo disciplinando attraverso la nostra pratica di asana, ci porta a viverla secondo il giusto canone della ripetizione non esasperata ottenendo più velocemente ciò che possiamo detrarre da questo settore di studio.
Il non giudizio ci unifica internamente e ci prepara alla pratica del silenzio, vero mezzo densificante del nostro essere.
Non sto qui a giudicare se sia giusto operare con tutte le tecnologie, con tutti i social, con tutte le connessioni di cui siamo attualmente capaci, sono qui ad incuriosirvi affinché le vostre parole, cullate nel non giudizio, risultino lame che siano capaci di fendere il mondo, espressione completa di una opera di pulizia del vostro templio, sempre espresse con piacevolezza e che possano contribuire, in novità, ad alleviare la sofferenza del mondo, aiutandone una migliore versione.
Il mondo 2.0 parla parole non giudicanti.