Adho mukha svanasana, o posizione del cane che guarda in giù. Un’asana ricorrente nella pratica dello yoga. Temuta, odiata, ricercata o preferita, è forse quella con la preparazione più articolata e complessa. La studieremo passo dopo passo nel seminario di oggi. Posizionati in ginocchio, le mani sono il punto di partenza per tutto il resto del corpo: imprimono forza al terreno, fanno spingere le braccia distese indietro ed ecco gli avampiedi piegarsi e il bacino salire in alto. Si resta per qualche istante lì, con la schiena distesa e leggera, la testa in spinta in avanti, le gambe distese il più possibile e i talloni che cercano terra. Simone ci guida a concentrare il respiro al centro del petto, a ripetere più volte la posizione e a tenerla a occhi chiusi.

È una posizione con la quale litigo una volta si e l’altra pure. Ogni tanto, anzi ultimamente sempre, a lezione imbroglio e sposto le mani un po’ più indietro, sperando di tenerla meglio. Ma la spalla, soprattutto la destra, mi tira sempre, ed è un doloretto odioso che mi rende ancora più odioso questo odioso cane.

Lavoriamo anche su bhujangasana, il cobra. I maestri mi danno una raddrizzata anche qui, lo yoga è davvero un gioco ai millimetri! La schiena la sento molto leggera e quasi libera, ma sono stanca, la spalla tira e i trapezi invocano il divano. Mi arrotolo nella coperta e mi rannicchio sul tappetino, e quando il maestro chiede come stiamo io dico solo un sincero, scoraggiatissimo e quasi sorridente: Basta! Non le faccio più! Non le faccio più!

Resistenza. Resistere a priori a qualcuno o a qualcosa più o meno consapevolmente. Assaggi il sushi? No non mi piace. Vediamo quel film? No è palloso. Lavori con quel collega? No non lo sopporto. Vuoi venire a camminare? No non ce la faccio. Provi una lezione di yoga? No mica è allenamento vero quello. Facciamo adho mukha svanasana? Ecco qua non ci riesco. La resistenza è un po’ una difesa delle nostre convinzioni e un po’ un boicottaggio verso nuove possibilità di andare avanti, aprirci e, nel caso di adho mukha, alleggerirci. Ammettiamo facilmente le nostre preferenze, le nostre antipatie, le difficoltà, e forse non c’è niente di male nel conoscersi. Quando si tratta di aprirci alla novità e al cambiamento ammettiamo facilmente che è troppo difficile o non fa per noi. Però mi chiedo: è giusto restare ancorati a quello che già sappiamo? O possiamo rendere meno pesante quel bagaglio, farne un punto di partenza per imparare ancora, migliorare noi stessi, superare una difficoltà e andare verso un equilibrio più consapevole? E magari resistere in questa nuova e leggera dimensione? Resistenza o resilienza?

 

Simona Anna

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