La luce del sole che si prepara a svanire dietro le montagne ci rende spericolate, decidiamo di voltarci, ammirare quella palla incandescente affievolirsi, mentre il fiume, nella sua compassionevole generosità, gli fa da specchio come a voler ricordare al suo Dio quanto bello e attrattivo sia il suo potere. Fuoco ed acqua, in un connubio di opposti che si attraggono. Sul ponte di Lakshman Jhula è impensabile fermarsi, il vento confluisce aumentando di potenza, quasi a desiderare di spazzarci giù. A meno che non si voglia prendere il battello, il mondo di Rishikesh e dei suoi visitatori, attraversa su Ram Jhula e su quest’altro ponte. Senza ordine e senso di marcia, senza fila prioritaria, nessuno sconto per invalido, anziano o bambino, qui vige la legge della giungla e se vuoi uscire da questo tunnel, la regola è “camminare sempre avanti senza voltarsi mai”. Però stasera, qualcosa irrompe nel nostro stato vigile, forse questa foschia che sta scendendo insieme al sole e rendere l’atmosfera surreale, c’è meno gente, meno moto, meno clacson. Due battelli che segnano il loro passaggio infrangendo sommessamente il fluire del fiume e Silvia che riesce ad immortalare il momento rendendogli giustizia seppur fugace. Il tempo di un respiro, uno scatto e la giungla riaffiora ai sensi, sento delle dita bussare alla mia spalla, mi volto, una paffutella e gioconda signora mi chiede un selfie indicando l’adolescente vicino a lei, le dico che per me è un onore fare una foto con una star, restituendole quel po’ di prestigio che attribuiscono a noi occidentali quando ci  chiedono una foto.

La strada che ci conduce in sala yoga è ormai ospitale, abitata da personaggi familiari ai quali abbiamo attribuito nomi in base alle loro peculiarità. C’è “Poppo”, ha una piccola bancarella che sforna pop corn, con lui simpatizzai l’anno scorso, i capelli e barba candidi come il prodotto che vende, in contrasto con la pelle, non più giovane, cioccolato al latte. È un uomo mite, ci riconosce sempre e al passaggio saluta con gioiosa apertura dicendo: 《poppooooooo!》, uno sguardo, un namasté reciproco e il passaggio fugace di un complice sorriso. C’è “Flautino”, ha sempre gli occhi chiusi, forse è un non vedente, è accovacciato su un basso muretto che costeggia la via centrale, non ho identificato la sua personalità, non ci fila mai, sembra viva in un suo mondo e a sentir le melodie che escono dal flauto direi essere incantato, forse sarà il pifferaio magico o un fauno che si muove ondeggiando nell’aria che lo avvolge. C’è il commerciante, proprietario di un negozietto, vende di tutto, soprattutto cose scadute, è versatile e camaleontico, se sei italiano tira fuori qualche parola in lingua e il gioco è fatto, la tecnica del ricalco commercialmente conosciuta è stata ben eseguita e poi eccolo, il pastore, un senza tetto che vive sotto i portici della via commerciale, si atteggia ad illuminato, chiede qualche rupia e pascola le mucche che in realtà non appartengono a nessuno. 

Personaggi e ambiente fanno di Rishikesh un posto strano, non è detto si riesca ad amarlo o quanto meno comprenderlo, soprattutto mentre ancora sei incastrato in questo turbinio che avanza incessante, ce lo confermerà Scarabocchio mentre, sedendo a terra per il nostro rito tisana della buona notte, tra un discorso e l’altro simpaticamente, ma con certezza assoluta, comunica che a lui  stare qui proprio non piace, si adatta, si pure diverte, ma desidera tornare alle sue abitudini, ufficio, figli, moglie, amici, birra (senza ordine d’importanza) ed io penso, mentre lo guardo accovacciato in terra in tipico mood indiano, che non gli posso dare torto, ma intanto senza neanche accorgersene anche in lui, qualcosa in fondo in fondo, è già cambiato.