Ahimsa – di Chiara Testa

Esistono luoghi che ci parlano se sappiamo creare in noi un silenzio accogliente.

In estate abbiamo viaggiato per ore, attraversando un altipiano ostile tra lo Utah e l’Arizona: la riserva Navajo. Abbiamo colto il vero senso delle parola ‘immensità’, una piana brulla che si estende a perdita d’occhio, segnata dalla violenza dei venti, dalla potenza dei fiumi, dalla libertà del volo dei condor.
In quel luogo abbiamo compreso che un uomo solo su un cavallo, senza una nazione, senza una fede pre-impostata, sotto un cielo stellato, non ha motivi per avere nemici.

Purtroppo la guerra non è altro che il lato oscuro della medaglia nel vivere sociale.

La società ci racconta la sua storia, la sua religione, le sue scelte politiche e ci chiede di definirci.

Ci sentiamo quindi in obbligo di scegliere, di catalogarci in base alle sfaccettature del racconto che ci viene narrato, di schierarci nei pro o nei contro.
Ci arruoliamo in una lotta continua che non è la nostra guerra.
Ci battiamo con veemenza a difesa di quel che abbiamo deciso essere il nostro credo, sia esso calcistico, politico o religioso.

Sentiamo il bisogno di dimostrare la bontà delle nostre tesi, poiché ad esse siamo fortemente attaccati come a funi nella tempesta.

Se ci lasciassimo andare, se ci innalzassimo in volo, se spiegassimo le ali come condor cullati dal vento potremmo osservare la piana. Scopriremmo di non essere padroni di nessuna verità assoluta, ma di essere posseduti dalle ideologie che, usando le nostre vite, diventano eserciti schierati.
Ci lasciamo trascinare dalle correnti, pensiamo di riuscire a penetrare ogni dettaglio sul quale si fondano le nostre convinzioni, ma in fondo siamo coscienti della fragilità di ogni tesi.

Ogni presa di posizione è confutabile poichè creata da menti umane, in quanto tali vittime di reazioni e condizionamenti… e se c’è condizionamento non può esserci libertà.

La libertà è sempre all’inizio di una catena di azioni e reazioni, mai nella conclusione.

La libertà risiede nella decisione di non aderire a un giudizio, a una fede, a un’etichetta pre-confezionata.

La decisione di praticare la non-violenza Ahimsa, è conseguenza del non attaccamento Vairagya, e della non avidità Aparigrha. Se essi non si praticano all’unisono non possiamo iniziare la catena virtuosa che conduce a una vita in pace.

Secondo le dure leggi occidentali potrebbero allora affibbiarci il giudizio di Ignavi, di smidollati.

Lasciate che lo pensino, lo saremo come lo sono stati Gandhi, Cristo; San Francesco o Martin Luther King: uomini la cui grandezza era così immensa, la cui paura era così vana,i cui ideali così semplici, i cui silenzi così rumorosi da soffocare la violenza delle folle.

Questa mancanza di comprensione e saggezza nella società è così difficile da superare non perchè c’è tanto da imparare, ma perchè c’è tanto da disimparare e lasciar andare.

La sofferenza che genera rabbia, nasce quando nutriamo aspettative sulla collocazione di noi stessi, quando sentiamo il bisogno essere accettati ,quando vogliamo venga riconosciuto il ruolo che desideriamo nel gruppo, in quel momento diventiamo egoisti ed ego-focalizzati.
Lottiamo per ottenere consensi oppure ci lamentiamo chiudendoci nel nostro vittimismo, carnefici sono gli altri che non ci riconoscono, carnefici e duri inquisitori siamo di noi stessi nel non darci tregua.

Ma la libertà è nella scelta, nella decisione di schiuderci dal recinto dell’ego, di espanderci e fiorire per sentirci finalmente parte di qualcosa di più grande dell’ovile nel quale abbiamo deciso di rinchiuderci.
Scopriamo allora che in ogni sguardo che incontreremo, scorgeremo un guizzo universale che ci rende gruppo.

Scopriremo di essere parte di qualcosa di grande che supera il tempo e lo spazio.

Coglieremo quel tocco di Divino che è in noi e in ogni essere umano, ci sentiremo accomunati dal soffio vitale che è stato, che è e che sarà.
Ci sentiremo umanità.

 

Chiara Testa 

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